IMPOSTE E TASSE - Cass. civ. Sez. V, 11-01-2018, n. 439

IMPOSTE E TASSE - Cass. civ. Sez. V, 11-01-2018, n. 439

In caso di "differenze inventariali", ovvero differenze registrabili tra le quantità di merci giacenti in magazzino e quelle desumibili dalle scritture di carico e scarico, operano le presunzioni di cessione e di acquisto dei beni in evasione di imposta, di cui all'art. 4 del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, annoverabili tra le presunzioni legali cosiddette "miste", che consentono, entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova stabiliti a fini antielusivi, la dimostrazione contraria da parte del contribuente, il quale sarà tenuto a provare, con le modalità tassativamente indicate dagli artt. 1 e 2 del D.P.R. n. 441 del 1997, che la contrazione registratasi nella consistenza del magazzino è frutto dell'impiego produttivo dei beni e non di cessioni o acquisizioni non contabilizzate.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Presidente -

Dott. GRECO Antonio - rel. Consigliere -

Dott. TRICOMI Laura - Consigliere -

Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere -

Dott. LA TORRE Maria Enza - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14357/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

- ricorrenti -

contro

ZGZ SPA;

- intimati -

Nonchè da:

ZGZ SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 68, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE LOMONACO, rappresentato e difeso dall'avvocato NATASCIA FINOTTO giusta delega in calce;

- controricorrente incidentale -

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

- controricorrente al ricorso incidentale -

avverso la sentenza n. 86/2011 della COMM.TRIB.REG. della Lombardia, depositata il 03/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

udito per il ricorrente l'Avvocato MELONCELLI che ha chiesto il rigetto del ricorso incidentale;

udito per il controricorrente l'Avvocato FINOTTO che ha chiesto il rigetto del ricorso principale, accoglimento ricorso incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, accoglimento ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con un motivo nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, rigettandone l'appello, e rigettando del pari l'appello incidentale della ZGZ spa, ha confermato l'accoglimento parziale del ricorso introduttivo della contribuente nei confronti dell'avviso di accertamento ai fini dell'IRPEG, dell'IVA e dell'IRAP per l'anno 2001.

Il giudice d'appello, per quanto ancora rileva, con riguardo ai costi per servizi amministrativi infragruppo resi alla contribuente dalla spa Pompea Calze, società appartenente al medesimo gruppo, ha ritenuto infondata la tesi dell'ufficio secondo cui la (Glamour spa, poi incorporata dalla) contribuente era una società commerciale, mentre i costi indicati nel contratto alla base della fornitura dei detti servizi stipulato dalla Glamour con la Pompea Calze erano tipici delle società di produzione - sicchè "l'imputazione al conto economico di tali costi sarebbe incompatibile con la natura commerciale della società". Ha infatti ritenuto che si trattava "di servizi da ripartire nell'ambito del gruppo secondo precisi accordi contrattuali. ... anche l'affermazione secondo cui l'assenza di collegamento funzionale tra i costi contabilizzati e i benefici connessi sarebbe deducibile dall'esame dei mastrini di sottoconto è priva di alcun riscontro, dal momento che tale prova non è riscontrabile in atti".

Con riguardo all'appello incidentale della contribuente, che si appuntava contro le riprese per le rettifiche inventariali di magazzino, ai fini dell'IVA e delle imposte dirette, la Commissione regionale ha confermato la sentenza impugnata, rilevando che "se pure l'importo ripreso appare modesto, tuttavia tale circostanza non appare sufficiente per l'annullamento della ripresa".

Il giudice d'appello ha del pari disatteso l'appello incidentale con il quale si sosteneva l'inopponibilità della ripresa effettuata ai fini IRAP per avere l'ufficio omesso di esplicitare nell'atto di accertamento la volontà di assoggettare a tassazione IRAP il valore della produzione, comportante un imponibile diverso rispetto a quello descritto nell'avviso ai fini IRPEG. In proposito ha infatti ritenuto che il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 4, si applica "sul valore della produzione netta", la cui determinazione consegue ai rilievi effettuati ai fini IRPEG, sia pure limitatamente a quelli aventi rilevanza ai fini IRPEG. La spa ZGZ resiste con controricorso, articolando quattro motivi di ricorso incidentale. L'Agenzia resiste con controricorso al ricorso incidentale.

Motivi della decisione

Con l'unico motivo del ricorso principale l'amministrazione, denunciando violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, e dell'art. 2697 c.c., assume che nella determinazione del reddito d'impresa l'esistenza di una regolare contabilità non impone all'amministrazione finanziaria di riconoscere l'esistenza di costi registrati nelle scritture contabili o la loro inerenza, non incombendo all'ufficio, ma al contribuente che ne invoca la deducibilità, l'onere di provare l'esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e costi deducibili, ivi compresi i requisiti dell'inerenza e dell'imputazione di ricavi ad attività produttive. La sentenza impugnata viene censurata perchè avrebbe invece applicato la diversa e inesistente norma secondo cui, per potersi dedurre dei costi, è sufficiente che essi siano previsti in un contratto stipulato dal contribuente con terzi, spettando all'Agenzia la prova della loro non inerenza.

La Commissione regionale è incorsa nell'errore ad essa addebitato.

Questa Corte ha infatti da tempo chiarito come "in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d'impresa, l'esistenza di una regolare contabilità impedisce soltanto il ricorso ad accertamento sintetico (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39), ma non impone all'amministrazione finanziaria di riconoscere l'esistenza di costi registrati nelle scritture contabili o la loro inerenza, atteso che l'onere della prova circa l'esistenza dei fatti che danno luogo a oneri e costi deducibili, ivi compresi i requisiti della inerenza e dell'imputazione ad attività produttive di ricavi, non incombe all'amministrazione finanziaria, ma al contribuente che invoca la deducibilità" (Cass. n. 12330 del 2001); e come rientri "nei poteri dell'Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell'esercizio d'impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo non proporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa; pertanto, la deducibilità dei costi esposti in bilancio non comporta che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in delibere o libri sociali o contratti e che sia irrilevante la divergenza tra il valore effettivo e il valore ivi iscritto o riportato" (Cass. n. 8072 del 2010).

Più recentemente, ha affermato che "qualora la società capofila di un gruppo di imprese, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e ridurre i costi di gestione attraverso economie di scala, fornisca servizi e curi direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo ripartendone i costi fra le affiliate, l'onere della prova in ordine all'esistenza ed all'inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio, occorrendo, affinchè il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia detraibile ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, che la controllata tragga dal servizio remunerato un'effettiva utilità e che quest'ultima sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata" (Cass. n. 16480 del 2014).

Con specifico riguardo alla materia dei costi c.d. infragruppo, "laddove la società capofila decida di fornire servizi o curare direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo, ripartendone i costi fra di esse, al fine di coordinare le scelte operative delle imprese formalmente autonome e ridurre i costi di gestione attraverso economie di scala, l'onere della prova in ordine all'esistenza e all'inerenza di tali costi incombe sulle società che affermino di aver ricevuto il servizio, occorrendo, affinchè il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia deducibile ai fini delle imposte dirette e I'IVA contestualmente assolta sia detraibile, che queste ultime traggano dal servizio remunerato un'effettiva utilità obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata. (Cass. n. 23164 del 2017).

Col primo motivo del ricorso incidentale, la contribuente, denunciando violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53, e D.P.R. n. 10 novembre 1997, n. 441, art. 4, comma 2, censura la sentenza, con riguardo al rilievo relativo alle "rettifiche inventariali di magazzino", per aver confermato la decisione di primo grado - che aveva rigettato il ricorso nella parte relativa al rilievo delle "rettifiche inventariali di magazzino" sugli specifici motivi della "trascuratezza" (recte, trascurabilità) degli importi e sullo "errore umano", nonchè sulle presunzioni ai fini dell'IVA, affermando che "la trascuratezza dei valori e delle quantità delle discordanze, così come tali discordanze siano frutto di errore umano non può assumere in alcun modo rilevanza giuridica e quindi essere motivo di annullamento. Relativamente alla presunzione ai fini IVA, le eccezioni mosse dalla ricorrente appaiono infondate, in quanto nel caso in esame non siamo in presenza di un accertamento induttivo, ma di un accertamento effettuato sulle scritture contabili obbligatorie" - così motivando: "infatti, se pur l'importo ripreso appare modesto, tuttavia tale circostanza non appare sufficiente per l'annullamento della ripresa". La contribuente si duole che l'ufficio si sia limitato a riprendere a tassazione le differenze negative rilevate, senza considerare la marginalità delle quantità rispetto al volume d'affari della società e senza operare alcuna compensazione delle differenze di segno negativo con quelle di segno positivo, e sostiene che la presunzione di cessione dei beni acquistati, ma non rinvenuti nei luoghi in cui il contribuente esercita l'attività, posta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53, sarebbe una presunzione iuris tantum, e potrebbe essere vinta con qualunque mezzo di prova, anche con semplici presunzioni. Le presunzioni della "trascuratezza dei valori" e dello "errore umano" - fatti non contestati dall'ufficio - richiamate dalla società per vincere la detta presunzione di cui all'art. 53 citato, avrebbero perciò dovuto essere considerate dall'ufficio come fattori rilevanti per escludere l'intento evasivo (vendite in nero), laddove le sentenze di merito avrebbero erroneamente escluso tale rilevanza a priori, e senza alcuna motivazione giuridica e logica.

Con il secondo motivo denuncia omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio relativamente alla rilevanza del "fattore umano" in merito alle "rettifiche inventariali di magazzino".

I due motivi, che siccome strettamente legati vanno esaminati congiuntamente, sono fondati.

Questa Corte ha infatti chiarito come in caso di "differenze inventariali", ovvero differenze registrabili tra le quantità di merci giacenti in magazzino e quelle desumibili dalle scritture di carico e scarico, operano le presunzioni di cessione e di acquisto dei beni in evasione di imposta, di cui al D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, art. 4 annoverabili tra le presunzioni legali cosiddette "miste", che consentono, entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova stabiliti a fini antielusivi, la dimostrazione contraria da parte del contribuente, il quale sarà tenuto a provare, con le modalità tassativamente indicate dal D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1 e 2  che la contrazione registratasi nella consistenza del magazzino è frutto dell'impiego produttivo dei beni - sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti..." - e non di cessioni o acquisizioni non contabilizzate" (Cass. n. 10915 del 2015, n. 18645 del 2016).

L'errore compiuto dal giudice di merito sta nel non aver riconosciuto, a monte, alcuna rilevanza alle presunzioni contrarie, costituite dalla trascurabilità, ovvero dalla modestia dei valori, e dall'errore umano, e riconducibili al D.P.R. n. 441 del 1997, art. 1, commi 1 e 2, lettera a).

Con il terzo motivo denuncia omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla irrilevanza delle presunzioni previste per l'IVA ai fini IRPEG in merito alle rettifiche inventariali di magazzino". Censura la sentenza impugnata nella parte in cui, dovendo decidere sull'appello incidentale in merito all'illegittimità dell'uso delle presunzioni di cessione/acquisto previste ai fini IVA in quanto non utilizzabili ai fini IRPEG, avrebbe totalmente omesso di motivare il rigetto dell'appello incidentale su tale punto della controversia.

Il motivo è fondato, in quanto, se deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia sul punto rigettato dal domanda della contribuente che censurava la pronuncia di primo grado ("la sentenza impugnata ha ritenuto condivisibile l'operato dell'ufficio in ordine alle riprese per le rettifiche di magazzino, sia ai fini dell'IVA che delle imposte dirette"), ha tuttavia omesso ogni motivazione, anche in ordine all'operatività in concreto delle presunzioni, sul punto.

Col quarto motivo dell'appello incidentale denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, con riguardo alla dedotta mancanza di motivazione dell'avviso di accertamento in ordine all'IRAP, censurando la sentenza d'appello che sul punto ha rilevato che "il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 4, dispone che l'IRAP si applica "sul valore della produzione netta", la cui determinazione consegue ai rilievi effettuati ai fini IRPEG, sia pure limitatamente a quelli aventi rilevanza ai fini IRPEG. Anche su questo punto l'appello incidentale non merita dunque accoglimento".

Il motivo è fondato; il giudice d'appello incorre nell'errore addebitato, apparendo scarsamente appagante e per cosi dire "circolare" la difesa svolta.

In conclusione, tanto il ricorso principale che il ricorso incidentale devono essere accolti, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in differente composizione.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2018

 


Avv. Francesco Botta

Rimani aggiornato, seguici su Facebook